Commestibilità e tossicità
Per coloro che non studiano o che non sono appassionati di micologia, il concetto di tossicità e commestibilità
di un fungo è spesso influenzato da una visione semplificata e distorta del problema. Sarebbe facile poter dire che
un fungo è commestibile se può essere mangiato senza complicazioni oppure che è tossico se, a seguito del
suo consumo, provoca un qualche avvelenamento; purtroppo non è così semplice.
La commestibilità di una specie fungina non è un carattere netto e neanche costante nel tempo. Nei casi più
frequenti la commestibilità dipende molto da come gli esemplari raccolti vengono trattati, cucinati e consumati,
così che una specie ritenuta commestibile può anche dare disturbi tutt'altro che leggeri, provocando quella
che viene definita intossicazione non vera, ma non per questo da sottovalutare.
Accade spesso anche il contrario, cioè che specie ritenute tossiche vengano consumate regolarmente in qualche luogo
o da qualche individuo senza alcun problema apparente, ma accade altrettanto spesso che qualcuno di questi soggetti
incorra inaspettatamente in un avvelenamento dopo aver mangiato la stessa specie di sempre.
Ci sono poi molte specie date come non commestibili, seppur innocue, perché non ritenute adatte al consumo alimentare,
ad esempio per il sapore o l'odore, oppure a causa della loro consistenza, ma anche su questo aspetto dobbiamo sempre
mettere in conto la soggettività di ognuno di noi e soprattutto le abitudini derivanti dalle antiche tradizioni
popolari.
Altre specie sono classificate come sospette oppure di commestibilità ignota perché sono pochi o assenti i
casi inerenti il loro consumo, oppure perché sono troppo contrastanti tra loro gli effetti provocati su soggetti
diversi in diverse occasioni.
Infatti, non esistono ad oggi esami di laboratorio in grado di darci un responso certo sul grado di commestibilità o
tossicità di un fungo; tutto ciò che sappiamo sugli effetti di una specie sull'uomo deriva esclusivamente
dall'esperienza dei casi clinici del passato ed è accaduto più volte, anche di recente, che eventi in tal senso
ci abbiano costretto a cambiare idea sullo stato di commestibilità di un fungo.
Per le specie ritenute intrinsecamente tossiche, quelle cioè contenenti specifiche micotossine, indipendentemente
dal fatto che tali sostanze siano state o meno individuate, sono state classificate diverse sindromi da avvelenamento,
differenziate tra loro sulla base dei sintomi, dei danni provocati e del tempo di incubazione. In particolare, vengono divise
in 2 gruppi come segue:
- Sindromi a breve incubazione (o a breve latenza), quando i primi sintomi sopraggiungono mediamente entro 5 ore dall'ingestione.
- Sindromi a lunga incubazione (o a lunga latenza), quando i primi sintomi sopraggiungono con un ritardo medio che supera le 5 ore dall'ingestione.
A conclusione di questa breve introduzione sulla commestibilità in micologia, raccomandiamo sempre estrema cautela nel consumo dei funghi e di astenersi sempre in caso di un qualunque dubbio, anche minimo, sull'identità della specie. Consigliamo vivamente di non fidarsi di ciò che viene letto o interpretato attraverso i libri né di sedicenti esperti solo perché frequentatori del bosco. In caso di consumo raccomandiamo parsimonia nelle dosi e moderazione nella frequenza dei pasti a base di funghi e di evitarli in caso di generica debolezza fisica o di specifiche difficoltà digestive. Per maggiori dettagli in merito si rimanda all'articolo sugli avvelenamenti da funghi pubblicato sul nostro bollettino MicoPonte n. 1 – 2007.